Comedia


Comedia Nella storia della drammaturgia beckettiana, Play - «Commedia», «Comédie», «Spiel» - rappresentato per la prima volta in Germania nel 1963, occupa un posto di assoluto rilievo: è infatti il testo che segna drasticamente la svolta in seguito alla quale l’autore irlandese abbandona anche quel residuo di trama, di caratterizzazione dei personaggi che ancora permaneva in Aspettando Godot, in Finale di partita, in Giorni felici, per andare verso la totale abolizione di ogni struttura rappresentativa, verso la pura emissione verbale, verso l’annullamento dei corpi e l’ulteriore negazione di qualunque consistenza fisica dell’azione.


Al centro della pièce c’è una sorta di banale ménage a trois, un’ipotetica, passata relazione tra un uomo e due donne, che forse - ci viene fatto vagamente intuire - potrebbe essersi conclusa in tragedia: ma di quelle sommarie figurette da commedia borghese non ci è dato sapere nulla di preciso. Le loro stesse voci, gli scomposti grovigli di parole che ne costituiscono l’unica, precaria forma di sopravvivenza - e che Beckett voleva pronunciati a ritmo velocissimo, fino a renderli quasi incomprensibili - sono affannosi lacerti sonori che arrivano come da un’enorme distanza temporale, destituiti di significato, condannati a un’ottusa ripetizione.Per Beckett le tre entità - ormai verosimilmente proiettate oltre i confini della morte - dovevano apparirci rinchiuse dentro a delle strette giare da cui uscissero solo le teste.


Miguel Guerberof, il regista, purtroppo scomparso di recente, dell’aguzza messinscena argentina presentata nell’ambito della rassegna Tramedautore al Teatro Grassi di Milano, ha avuto però un’idea folgorante: anziché spuntare dai vasi, i tre crani parlanti sono ingegnosamente disposti in fila sopra un tavolo, come se davvero fossero stati mozzati, come se appartenessero a dei San Giovanni decollati della pittura barocca, accentuandone la bizzarra natura spettrale.Costrette in questa situazione sinistramente grottesca, le tre teste - come la Winnie sepolta nel suo mucchio di terra in Giorni felici - continuano ossessivamente a parlare.


E parlano di quella loro insignificante storia, ormai dissolta anche in senso sintattico, con toni incongruamente spensierati, ora rabbiosi, ora buffamente salottieri, ma sempre avulsi dal contesto, suscitando spesso effetti imprevedibilmente comici al di là della loro truculenta condizione. Giunto al termine, il testo riparte dall’inizio, come prescritto dall’autore: ma riparte a velocità vertiginosa, imponendo ai tre bravissimi attori un autentico esercizio di stralunato virtuosismo.


Comedia di Samuel Beckett regia: Miguel Guerberof

interpreti: Mario Mahler, Esmeralda Mitre, Carla Peterson

prossima replica: Viterbo, Palazzo dei Priori, 19 settembre 2007

1 comentario:

Juan A. SALA CLARA dijo...

Por Juan Sala:

En mi experiencia teatral con Miguel Guerberoff pude desarrollar una clave de lectura de su forma de dar la teatralidad. Aclaro que esta es una interpretación mía.
Basada en la filosofía de Kant, en el texto “Crítica de la Razón Pura”, se describe a la razón como compuesta por partes: una especulativa, en donde aparece la estética y esta formada por lo empírico; otra pura, en donde la lógica es la constitución de la parte del entendimiento; y por último, una practica donde la dialéctica es la posibilidad de creación de lo noúmeno. En la especulativa la libre asociación del actor con el texto sirve de base para ver que partes salen naturalmente en acción, que se puede usar y que descartar de estas en el proceso de creación de una obra. En la lógica aparece el texto, como entendimiento, en el que el actor va poniendo armando de apoco la obra mas asentado en algo concreto que permita el despliegue de si mismo y del otro. Y por ultimo la dialéctica contiene a las anteriores y es cuando los actores retomando el trabajo pueden ver si la posibilidad de vivificación de la obra da resultados. Aquí es donde se trabaja en aprobar, descartar, probar, descartar, decidir acerca de la actuación.